Proiettato alla Sala Pegasus il cartone animato tratto da “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” di Dino Buzzati.
di Moreno Orazi
Ieri sera alla Sala Pegasus di Spoleto è stato proiettato il film d’animazione di Lorenzo Mattotti “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” tratto dall’omonimo racconto di Dino Buzzati, seguito con trepidante partecipazione e attenzione dai molti bambini in sala, che naturalmente parteggiavano per i buoni di turno: in
questo caso gli Orsi di re Leonzio. Il film, una produzione franco-italiana che è costata sei anni di lavoro, è stato presentato al Festival di Cannes del 2019. Le fantasmagoriche geometrie dei paesaggi e delle battaglie, le sfavillanti scenografie urbane e le policromie accese del Palazzo Ducale non hanno certamente
lasciato indifferenti i genitori che li accompagnavano e i molti adulti amanti del cinema d’animazione presenti in sala.
La proiezione del film presentato ieri sera alla Sala Pegasus si inscrive in un progetto avviato dai gestori del cinema in collaborazione con l’Associazione Teude che si propone di dar maggior spazio nella sua programmazione al cinema d’animazione d’autore allo scopo di sdoganare questo genere artistico dal luogo
comune che lo vede come un medium adatto a raccontare soprattutto storie per bambini o che evocano il mondo dell’infanzia negli adulti e a dimostrare, al contrario, che si tratta di un medium narrativo in grado di raccontare storie rivolte a un pubblico adulto, al pari del cinema realista.
“La famosa invasione degli orsi in Sicilia” come ha ricordato Raffella Torlini, la presidentessa
dell’Associazione Teude, è apparsa a puntate sul “Corriere dei piccoli “per essere puoi raccolta in un libro pubblicato dalla Mondadori nel 1945 corredato delle illustrazioni realizzate dallo stesso autore, a cui hanno fatto seguito molte riedizioni tra le quali si segnala quella della Edizioni Einaudi scuola del 1991.
Dino Buzzati dal punto di vista artistico era una personalità incontestabilmente poliedrica. Nato nel 1906 a San Pellegrino di Belluno e morto nel 1973 a Milano fu un assiduo frequentatore delle Alpi bellunesi ed un grande appassionato della montagna Dino Buzzati è stato una delle più grandi penne del giornalismo
italiano. Prestò la sua opera per tutta la vita presso il Corriere della Sera dove svolse tutte le mansioni e ruoli presenti in questa che era ed è tuttora una grande testata nazionale. Fu cronista di nera, inviato di guerra, titolista, vice-direttore della Domenica del Corriere, il settimanale di approfondimento del Corriere della Sera, reporter sportivo. In questa veste fu inviato speciale al Giro d’Italia del 1949.
Dino Buzzati fu anche uno scrittore versatile ed in questa veste che è maggiormente conosciuto. Autore di racconti, di testi teatrali, di romanzi il cui più noto è “Il deserto dei tartari” pubblicato nel 1940 da cui fu tratto nel 1976 un film di successo, vinse nel 1958 il Premio Strega con la raccolta “Sessanta racconti“. I suoi racconti sono pervasi da un senso di sospensione, dall’ineluttabilità di un destino spesso funesto, da un presagio di morte, dalla premonizione di un pericolo incombente di cui non si percepisce la possibile causa e da un fatalismo senza speranza. Per questo è considerato il Kafka italiano. Fu apprezzatissimo in Francia e stimatissimo da Albert Camus, che curò la versione francese dell’adattamento teatrale che Buzzati fece di “Sette piani” uno dei più inquietanti e frustranti racconti della raccolta con la quale aveva vinto il Premio Strega.
Dino Buzzati, oltre ad essere una grande penna del giornalismo italiano ed uno scrittore tra i più accreditati e fecondi del secondo dopoguerra, era un fine musicologo; scrisse i libretti per le opere musicate dal compositore e direttore d’orchestra Luciano Chailly. Fu anche un raffinato pittore. Le sue opere reinterpretano in modo originalissimo stilemi, atmosfere e temi dei grandi maestri della pittura metafisica e del surrealismo tra i quali è d’obbligo citare Giorgio de Chirico, Max Ernest, Magritte e Salvador Dalì.
Realizzò inoltre le scenografie per le sue pièce teatrali e per le opere liriche messe in scena dal maestro Chailly.
Dino Buzzati fu tra i primissimi, se non il primo, in Italia ad intuire le potenzialità narrative ed espressive del fumetto, considerato al suo apparire come forma di evasione per le classi popolari illetterate o legato all’infanzia e, sotto questo profilo, bistrattato da pedagoghi e insegnati che lo consideravano diseducativo
perché distoglieva dallo studio dei testi didattici e dalla lettura dei classici. Dino Buzzati fu un fumettista antesignano del fumetto d’autore, un genere artistico che doveva aspettare gli anni ’70, con l’irrompere sulla scena di personalità del calibro di Will Eisner, di Hugo Pratt, di Crepax, di Moebius, per ottenere una legittimazione e consacrazione come medium espressivo e come una forma d’arte al pari di altri.
A dimostrazione di quanto amasse i fumetti molti suoi quadri hanno una suddivisione che richiama le vignette
che compongono la pagina di un fumetto: sono dei fumetti veri e propri, delle storie brevi condensate in poche vignette.
Dino Buzzati pubblicò nel 1969 il “Poema a fumetti” che è una rivisitazione in chiave contemporanea della storia di Orfeo ed Euridice, in cui riversa molte delle acquisizioni grafico pittoriche condensate nei suoi dipinti. Composto da 208 tavole a colori è considerato il primo Grafic novel italiano.
Ne “Le storie dipinte “, una selezione di dipinti curata da Lorenzo Viganò (Oscar Mondadori 2013) quest’ultimo riporta quello che ebbe a dire Dino Buzzati a proposito del suo rapporto con la pittura: “Io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo alquanto
prolungato, ho fatto anche lo scrittore ed il giornalista. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa”.
Tornando a “La famosa invasione degli orsi in Sicilia “, il libro da cui è tratto il film d’animazione, il testo è corredato delle illustrazioni realizzate dallo stesso autore con quel suo caratteristico stile oscillante tra la pittura e l’illustrazione che è proprio di tutta la sua produzione figurativa.
E’ stato interessante vedere come Lorenzo Mattotti abbia affrontato la duplice sfida che la trasposizione di un testo, così fortemente connotato anche dal punto di vista grafico, comportava: si trattava di confrontarsi inevitabile non è solo con il registro verbale ma anche con l’immaginazione grafica del grande
scrittore/pittore/fumettista. Alla prova dei fatti si può affermare che è’ stata una sfida vinta, risolta elegantemente attraverso l’appropriazione, la rielaborazione sapiente e il forte richiamo di motivi stilistici caratteristici della produzione buzzatiana nella definizione iconografica dei personaggi, degli ambienti e delle situazioni. Tra le tante analogie stringenti si sottolinea la forte affinità con le figure del bestiario fantastico di Buzzati; in particolare quelle del Gatto Mammone e dell’Idra .
Mattotti non ha rinunciato infine ad introdurre elementi d’invenzione come quello del racconto nel racconto attraverso l’inserimento del cantastorie e della bambina Almerina, un omaggio alla moglie di Buzzati.
Il Babau (acrilico su tela 1967)