Fila ai botteghini e prime proiezioni sold out per “TOLO TOLO”. Nella prima giornata di uscita il nuovo film del comico pugliese incassa 8.668.926 di euro, superando “Quo Vado” e battendo ogni record italiano di incasso nelle prime 24 ore di programmazione. Complice probabilmente anche lo stratagemma del trailer che non ha nulla a che vedere col film vero e proprio.
La sceneggiatura è firmata da Luca Medici (vero nome di Checco Zalone) a segnare la distanza tra l’uomo e il personaggio, e da Paolo Virzì, nome più che autorevole del cinema italiano.
Il film parla di una storiella surreale ma a tratti possibilista di chi rifiuta il reddito di cittadinanza, sperando nel successo della partita Iva, si ritrova a scappare dall’Italia per difendersi dalla burocrazia e dalle tasse e finisce in Kenya a fare il cameriere e a servire raffinati cocktail a ricchissimi italiani in perenne vacanza, annoiati e lamentosi verso la loro nazione. Per rientrare in Italia compie il viaggio da migrante, in mezzo ai migranti, “attraversando” un popolo coraggioso e dignitoso, ma non certo però privo di difetti e magagne.
È un film facile, immediato, che arriva diretto e che fa ridere, senza scadere nella volgarità o negli ammiccamenti sessuali dei cinepanettoni dei Christian De Sica e dei Massimo Boldi.
È probabile che il nuovo film di Luca Medici, in arte Checco Zalone, diventi l’evento cinematografico dell’anno. Se non altro per gli incassi. I critici del cinema storceranno il naso, un po’ come i politologi storcono il naso per la politica attuale, ma questo è.
E qual è il segreto di Checco, “nato per sognare”?
È che Checco Zalone siamo noi. Ci rispecchia. È il classico italiano medio, vittima e allo stesso tempo truffatore dello Stato. Superficiale, disonesto, ignorante, sbruffone, vanesio, divertente, generoso. Uno di quelli che a volte hanno attacchi di razzismo e fascismo, che si “manifestano come la candida” e poi passano veloci.
La sua vita è composta di mille piccoli sogni infranti. Il suo messaggio sembra coincidere con l’augurio di fine anno del Presidente Mattarella: “la speranza consiste nella possibilità di avere sempre qualcosa da raggiungere.” E Checco è sempre in viaggio per non perdere la speranza. Allegramente, spavaldamente, incoscientemente.
Il film è la fotografia dell’Italia di oggi, con tutte le sue contraddizioni, culturali, fiscali, economiche, sociali, di uno Stato visto come persecutore, ma anche comodo, perché lì è facile truffare.
È l’Italia delle tasse e della burocrazia, ma anche dei furbetti. L’Italia dei Pierfrancesco segnati all’anagrafe ma che poi tutti chiamano Checco, sofisticata nelle intenzioni, volgare nella realtà. L’Italia del disoccupato che diventa premier in un lampo, senza alcun merito o ragione. L’Italia cialtrona, contraddittoria, ipocrita. Un po’ come la politica di oggi.
Nel film tutti i personaggi sono umani, non solo buoni o solo cattivi, ma un po’ buoni e un po’ cattivi, o meglio, appunto, semplicemente umani.
Luca Medici, che lo si voglia o no, realizza un prodotto che fa discutere, non mette tutti d’accordo, ma anzi divide tutti, perché ci racconta un po’ tutti, ognuno diverso e ognuno unico.
Fa discutere perché ormai siamo obnubilati dal politically correct, mentre Luca Medici raccoglie l’eredità del cinema degli Alberto Sordi, Vittorio Gassmann, Nino Manfredi, Aldo Fabrizi, Ugo Tognazzi che portavano sulla scena gli stereotipi italiani e non erano affatto politically correct. Osavano e raccontavano i vizi e le virtù, il buono e il cattivo che stava dentro ognuno.
Il fenomeno va indagato. Come per la politica.