“Il vento urla e piove a dirotto. Sul tetto e sui vetri la pioggia batte come ceci.”
Nel giardino di Villa Redenta, nei pressi del tempietto, apre la sordida bettola di Tichon, mal frequentata da straccioni, disonesti, smargiassi, bigotti, ubriaconi, squattrinati, approfittatrici e pettegole…
“Non esiste il cattivo tempo ma soltanto vestiti sbagliati”
Intabarrati nei cappotti e nei pesanti abiti invernali, gli avventori si riparano dal freddo e dal temporale, bevono vodka e sfangano la vita.
Tra chi millanta viaggi e conoscenze di posti lontani, chi vive di furti ed espedienti e chi soffre le pene d’amore va in scena l’umanità di Cechov.
In un angolo una misteriosa signora dispensa proverbi e comandamenti.
Tra racconti, bugie, battute e scazzottate “a porger l’altra guancia si diventa tutti rossi“.
D’altra parte si sa, “tre sono le D che rovinano l’uomo: il diavolo, il denaro e le donne.”
Ma “le strade delle signore sono infinite” e qualche volta portano dove è meglio non andare.
Rimane solo la vodka per strozzare giù nelle viscere pene e miserie.
Non c’è alcuna separazione tra attori e spettatori, sono tutti avventori della locanda, immersi nella storia. La regia usa ogni elemento circostante come scena e pretesto, persino le campane della chiesa di Santa Rita, distanti ma ben udibili, da elemento di disturbo diventano un momento coinvolgente del racconto.
DIO È MORTO SULLA STRADA MAESTRA